
Piuttosto che correre a prendere in braccio il piccolo che si sveglia di notte al primo lamento, è utile accorrere con qualche minuto di ritardo, per abituarlo a trovare conforto da solo
Occhiaie, sbadigli, nervosismo; anche questa volta il piccolo non ce l’ha fatta ad addormentarsi in fretta e a tenere chiusi gli occhio fino al mattino e il risultato lo si legge sui volti di mamma e papà. Non occorre però rassegnarsi ai soliti adagi del tipo «è ancora piccolo, i bimbi fanno così, quando sarà più grande la situazione migliorerà». Aiutare i bambini a dormire di più è possibile e non sembra essere neppure tanto complicato.
Gli anglosassoni lo chiamano “sleep training”, allenamento al sonno e consiste in alcune semplici strategie che i genitori possono mettere in atto per abituare quei figli che non ne vogliono sapere di fare sonni lunghi e ininterrotti. Due di queste, in particolare, sono state esaminate su Pediatrics da alcuni medici della Flinders University di Adelaide.
Una quarantina di bambini, con un’età compresa tra i sei e i 16 mesi e che presentavano difficoltà nel riposo notturno, sono stati divisi in tre gruppi. Uno è stato assegnato al cosiddetto “pianto controllato”, un approccio in cui il genitore non deve intervenire subito quando il piccolo si sveglia e piange durante la notte, ma accorrere da lui ogni volta con qualche minuto di ritardo, per abituarlo a trovare conforto da solo.
Con un altro gruppo di bambini invece, mamma e papà dovevano adottare una strategia un po’ più delicata: ritardare, di sera in sera, il momento della messa a letto di qualche minuto in modo da rendere l’addormentamento più rapido. I restanti piccoli, usati come controllo, venivano messi a letto dai genitori nel modo abituale, senza particolari accorgimenti.
Dopo tre mesi gli interventi di “sleep training” hanno mostrato di ridurre di 10-13 minuti il tempo che i bambini impiegavano per addormentarsi, risultato non riscontrato nel gruppo di controllo. In più, la strategia del “pianto controllato” contribuiva anche a diminuire gli episodi di risvegli notturni.
Buone notizie dunque per i genitori che ambiscono a ritrovare il conforto di notti più riposanti, ma per alcuni di loro può essere difficile e fonte di preoccupazione non precipitarsi subito a lenire il pianto notturno del proprio figlio. Eppure la cosa non avrebbe nessun inconveniente.
«Molti genitori si sentono in colpa nel lasciar piangere i bambini durante la notte e pensano di creare in lui chissà quale trauma, ma non è così; i piccoli hanno la capacità di tornare a dormire anche senza il loro intervento, riescono a superare bene questa prova senza alcuno strascico», spiega Michael Gradisar, psicologo clinico australiano.
Dopo un anno dall’inizio dello studio i ricercatori non hanno infatti rilevato nessuna differenza in termini di sviluppo emotivo e comportamentale tra i bambini sottoposti a “sleep training” e quelli considerati come controllo. Non solo, chi era stato allenato al sonno presentava anche livelli più bassi di cortisolo, l’ormone dello stress misurato nella saliva.
Mamme e papà possono dunque provare ad allenare i propri bambini a dormire meglio e più a lungo senza paura che questo ne intacchi la serenità e l’attaccamento nei loro confronti. «E il sonno lungo e ininterrotto dei figli non è solo positivo per il benessere dei genitori, i bambini si porteranno dietro queste sane abitudini anche negli anni futuri con tutti i vantaggi collegati a una buona qualità del riposo», conclude Gradisar.
Una volta raggiunta l’età di sei-nove mesi, l’80-90 per cento dei bambini dovrebbe riuscire a dormire più o meno tutta la notte senza disturbi. Per raggiungere tale obiettivo le tecniche di “sleep training” sono un suggerimento utile, insieme a quello di rendere l’ambiente del riposo il più confortevole e rassicurante possibile, di creare una routine che sia familiare al bambino e a quello di metterlo a letto quando è sì stanco, ma non ancora troppo da manifestare disagio con pianti convulsi ed eccessiva agitazione.
Ogni genitore sceglierà poi la combinazione di strategie più congeniali a lui e al proprio figlio. Se i pianti e le interruzioni notturne dovessero però persistere, i ricercatori suggeriscono di verificare con il pediatra l’eventuale presenza di altri disturbi che possono minare la qualità del riposo come ad esempio il reflusso cronico.
Cristina Gaviraghi,
Gli anglosassoni lo chiamano “sleep training”, allenamento al sonno e consiste in alcune semplici strategie che i genitori possono mettere in atto per abituare quei figli che non ne vogliono sapere di fare sonni lunghi e ininterrotti. Due di queste, in particolare, sono state esaminate su Pediatrics da alcuni medici della Flinders University di Adelaide.
Una quarantina di bambini, con un’età compresa tra i sei e i 16 mesi e che presentavano difficoltà nel riposo notturno, sono stati divisi in tre gruppi. Uno è stato assegnato al cosiddetto “pianto controllato”, un approccio in cui il genitore non deve intervenire subito quando il piccolo si sveglia e piange durante la notte, ma accorrere da lui ogni volta con qualche minuto di ritardo, per abituarlo a trovare conforto da solo.
Con un altro gruppo di bambini invece, mamma e papà dovevano adottare una strategia un po’ più delicata: ritardare, di sera in sera, il momento della messa a letto di qualche minuto in modo da rendere l’addormentamento più rapido. I restanti piccoli, usati come controllo, venivano messi a letto dai genitori nel modo abituale, senza particolari accorgimenti.
Dopo tre mesi gli interventi di “sleep training” hanno mostrato di ridurre di 10-13 minuti il tempo che i bambini impiegavano per addormentarsi, risultato non riscontrato nel gruppo di controllo. In più, la strategia del “pianto controllato” contribuiva anche a diminuire gli episodi di risvegli notturni.
Buone notizie dunque per i genitori che ambiscono a ritrovare il conforto di notti più riposanti, ma per alcuni di loro può essere difficile e fonte di preoccupazione non precipitarsi subito a lenire il pianto notturno del proprio figlio. Eppure la cosa non avrebbe nessun inconveniente.
«Molti genitori si sentono in colpa nel lasciar piangere i bambini durante la notte e pensano di creare in lui chissà quale trauma, ma non è così; i piccoli hanno la capacità di tornare a dormire anche senza il loro intervento, riescono a superare bene questa prova senza alcuno strascico», spiega Michael Gradisar, psicologo clinico australiano.
Dopo un anno dall’inizio dello studio i ricercatori non hanno infatti rilevato nessuna differenza in termini di sviluppo emotivo e comportamentale tra i bambini sottoposti a “sleep training” e quelli considerati come controllo. Non solo, chi era stato allenato al sonno presentava anche livelli più bassi di cortisolo, l’ormone dello stress misurato nella saliva.
Mamme e papà possono dunque provare ad allenare i propri bambini a dormire meglio e più a lungo senza paura che questo ne intacchi la serenità e l’attaccamento nei loro confronti. «E il sonno lungo e ininterrotto dei figli non è solo positivo per il benessere dei genitori, i bambini si porteranno dietro queste sane abitudini anche negli anni futuri con tutti i vantaggi collegati a una buona qualità del riposo», conclude Gradisar.
Una volta raggiunta l’età di sei-nove mesi, l’80-90 per cento dei bambini dovrebbe riuscire a dormire più o meno tutta la notte senza disturbi. Per raggiungere tale obiettivo le tecniche di “sleep training” sono un suggerimento utile, insieme a quello di rendere l’ambiente del riposo il più confortevole e rassicurante possibile, di creare una routine che sia familiare al bambino e a quello di metterlo a letto quando è sì stanco, ma non ancora troppo da manifestare disagio con pianti convulsi ed eccessiva agitazione.
Ogni genitore sceglierà poi la combinazione di strategie più congeniali a lui e al proprio figlio. Se i pianti e le interruzioni notturne dovessero però persistere, i ricercatori suggeriscono di verificare con il pediatra l’eventuale presenza di altri disturbi che possono minare la qualità del riposo come ad esempio il reflusso cronico.
Cristina Gaviraghi,
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